Abel Wakaam
Mannequin
1° Mannequin, il successo e la riconoscenza
Entrò nella stanza col calice tra le dita e richiamò la mia attenzione verso la terrazza esterna: - Meglio fuori, - esclamò – di fronte al mare sembra un altro mondo.

- Non al sole però. - le risposi, prendendo il mio cappello appoggiato sul tavolino, mentre inforcavo gli occhiali scuri.

- Possiamo sistemarci sotto la pergola, - continuò - sempre che per te non ci sia troppa luce!

Non so dove avesse imparato a conoscere così bene i miei gusti, ma questa sottile forma di attenzione mi mise immediatamente a mio agio. - Va bene nell'angolo, - affermai - così posso ascoltare te e contemporaneamente guardare il mare.

- Cosa significa "Blanc du Nil", - si avvicinò per leggere meglio la scritta sul mio cappello.

- E' una catena di abbigliamento francese, - le spiegai - adoro il loro cotone bianco.

Petra abbozzò un timido sorriso e mi fece strada sul terrazzo. - Qui in Sicilia non ne ho mai sentito parlare, - commentò - ma certe cose su quest'isola non arrivano. Lo stesso si può dire dei servizi pubblici e delle comodità del continente. Quando me ne sono andata, avevo 17 anni. Ero ancora una bambina. A Verona, le mie coetanee ne sapevano di uomini più di mia madre e, all'inizio, rimasi scioccata dai loro discorsi.

- Cominciamo dall'inizio, dal momento in cui i tuoi genitori decisero di lasciare questa terra.

- In quegli anni non si poteva più lavorare e vivere da queste parti. Mio padre aveva un piccolo negozio di abbigliamento e, come puoi ben capire, tutto il guadagno se lo prendevano quelli a cui pagava il pizzo. Lui non era una pecora come tanti altri e non riusciva ad abbassare il capo davanti alle ingiustizie. Così decise di denunciarli ai carabinieri e fummo costretti ad andarcene. A Verona abitavano i miei zii e ci aiutarono a trovare una sistemazione. I primi tempi furono duri per tutti, poi le cose andarono meglio. Non avevamo il denaro necessario per riaprire il negozio, quindi dovemmo arrangiarci con un vecchio camioncino per andare al mercato.

- Poter contare sui parenti che erano già inseriti nel contesto di quella città è stato sicuramente un bel vantaggio.

- Per certi versi si, ma mio padre è sempre stato un uomo molto orgoglioso e non voleva in nessun modo dipendere da qualcuno. All'inizio ci avevano ospitato nella loro casa. Vivevamo in cinque in cantina: io, i miei genitori e i miei due fratelli più piccoli. Ci vollero quasi tre anni per essere completamente autonomi.

- E intanto tu hai continuato a studiare?

- Sì... e in questo mi aiutarono molto i servizi sociali. Mi fecero avere i libri gratis e si accollarono persino il costo della mensa. Per me era tutto nuovo e bello, completamente diverso dal caos di Palermo. Purtroppo non c'era il mare e faceva più freddo. Il primo inverno credevo di morire!

- Prima mi hai detto che ti sentivi ancora una bambina...

- ...lo ero davvero! - ribadì - A 17 anni non avevo mai baciato un ragazzo e lì parlavano apertamente di sesso come se fosse un argomento di tutti i giorni. Non che la cosa mi infastidisse, ma ovviamente non avevo niente da dire. Ascoltavo attentamente i loro discorsi e mi chiedevo cosa avrei fatto al loro posto. La mia più cara amica, Sandra, era molto bella ed era l'unica a conoscere il mio segreto. Cercava spesso di presentarmi i ragazzi che a lei non piacevano, come se fossi la sorella un po' stupida che tutte le sex symbol si trascinano appresso per compagnia. Io però non ero interessata più di tanto perché mia madre non mi avrebbe mai dato il permesso di uscire la sera, quindi non volevo ritrovarmi in una situazione imbarazzante.

- Finché non hai compiuto 18 anni?

- Macché... - scoppiò a ridere - nella loro mentalità sarei potuta uscire di casa soltanto quando mi fossi ufficialmente fidanzata, e comunque in compagnia di mio fratello!

- Ma qualcosa invece accadde? - la incalzai - Perché altrimenti non mi avresti invitata qui per raccontarmi la tua storia.

- Qualcosa è successo! - annuì – D'altronde, da quel momento, sono passati diversi anni dalla mia spensierata gioventù fino al momento in cui sono diventata un personaggio pubblico.

- Una delle mannequin più ricercate del panorama internazionale! - affermai.

- Adesso non esagerare! - sorrise, con l'ironia che l'aveva sempre contraddistinta - La mia fortuna è stata quella di avere delle forme che si adattavano alla moda del momento. Cercavano una donna né grassa né magra, ne atletica e neppure asettica... insomma, hanno scelto me perché non avevo nessuna qualità.

- Andiamo per ordine, - la riportai ai suoi 18 anni - quale è stato il momento che ha cambiato completamente la tua vita da adolescente?

- Potrei risponderti che il merito andrebbe dato ad un ragazzo come tanti, - obiettò - ma le sue intenzioni non si rivelarono affatto buone nei miei confronti. Paolo aveva saputo da quella serpe di Sandra la mia totale innocenza per quanto riguardava il sesso. Conosceva un adulto di cui non ti farò mai il nome, una specie di agente di moda che selezionava i nuovi volti per il mondo della moda e della TV. Gli aveva parlato di me in termini alquanto spicci, lasciandogli intendere che fossi disposta a vendere l'anima, e non solo, pur di uscire dalla gabbia dorata in cui mi aveva richiuso la mia famiglia. In pratica la loro risposta alla mia richiesta di maggior libertà era sempre la stessa: "trovati un marito ed un lavoro e potrai fare quello che ti pare".

- Quell'adulto di cui parli però non aveva certo intenzione di prenderti per moglie. O sbaglio?

- Lui faceva parte di quella lunga lista di uomini senza scrupoli che sono costantemente alla ricerca di una bella donna da scopare, meglio se giovane e inesperta, e ancora di più se vergine e imbranata. Quando andai da lui, per prima cosa fece uscire Paolo dal suo studio. Disse che voleva parlarmi da sola... che voleva capire se fossi pronta ad affrontare il mondo dorato della televisione o delle sfilate di moda. Mi convinse che stavano cercando un volto e un corpo come il mio per una linea giovane di profumo e che, se avessi firmato una delega a suo nome, mi avrebbe trasformata in una diva. Le solite parole insomma, luccicanti come stelle agli occhi di una ragazzina come me.

- Avevi già compiuto i 18 anni?

- No, - si affrettò a precisare - e infatti rimandò tutto a tre mesi più tardi quando non mi sarebbe servita la firma dei miei genitori.

- Non voleva rischiare una denuncia, - commentai - ma nel contempo ti aveva messa nelle condizioni di dipendere completamente da lui. Ti diede dei soldi?

- Mi regalò il suo vecchio smartphone, completo di sim telefonica, dicendo che aveva acquistato per sé l'ultimo modello. Ogni settimana, quando passavo da lui, mi metteva in tasca una busta col denaro che mi sarebbe servito a comprare qualche abito alla moda. Mi aveva dato anche la chiave di un armadietto che teneva nel seminterrato, dove avrei potuto lasciare tutto quello che a casa avrebbe destato sospetti.

- Non provò mai a...

- ...assolutamente no! - anticipò la mia domanda - E si dimostrò sempre attento e professionale, consigliandomi la compagnia di Paolo che, a suo dire, era un bravo ragazzo con la testa sulle spalle. Scoprii dopo di come fosse un modo per tenermi sempre sotto controllo ed evitare che facessi amicizie pericolose.

- Quindi da una prigione ad un'altra, - esclamai - senza alcuna possibilità di vivere liberamente la tua vita?

- Ma anche le prigioni più sicure possiedono una via di fuga! - sorrise amabilmente - La mia si chiamava Santo ed era un mio lontano cugino. Era arrivato come ospite dalla Sicilia perché suo padre era morto in un incidente e sua madre era stata ricoverata con una grave forma di depressione. Venne messo a dormire in camera con Mario, mio fratello più grande, costringendomi ad ospitare Giuseppe, il più piccolo, nella mia camera. Doveva essere una situazione momentanea, ma ben presto compresi che sarebbe diventata definitiva.

- E lui ti piaceva?

- Mi piaceva perché era una peste, - esclamò - però sapeva farsi volere bene da tutti. E lui era pazzo di me, sempre pronto a farmi i complimenti.

- Un tuo coetaneo?

- Era maggiore di un anno, ma sembravano dieci. Sapeva tutto della vita e del sesso... e trovava sempre il modo di raccontarmi le sue storie con le ragazze di Palermo. Diceva che tutte sembravano delle sante e invece di nascosto erano come le nordiche... o anche peggio. Quando scendeva nei particolari, io provavo una sensazione strana e me ne vergognavo. Era come se avessi bevuto un bicchiere di vino, la testa diventava leggera e avvertivo un tremore nella pancia. Non avevo ancora capito dove fosse localizzato perché ero stata cresciuta con la convinzione che certe parti del corpo fossero tabù e non avevo ancora sperimentato le carezze come forma di piacere.

- E' stato lui ad inizializzarti ai piaceri della vita?

- Un pomeriggio restammo a casa da soli e mi invitò a seguirlo in solaio dove passava molto tempo in solitudine a leggere i fumetti, anche quelli proibiti ovviamente. Mi mostrò alcuni disegni che, se visti adesso, sembrerebbero ridicoli. Invece allora si rivelarono molto eccitanti. Salvo era sdraiato per terra sulla schiena, appoggiato su un vecchio materasso impolverato. Ricordo ancora l'immagine in bianco e nero che cercava di imitare. Mi indusse a mettermi nello stesso modo della ragazzina giapponese ed io, troppo innocente per capire ciò che avesse in mente, obbedii.

- Descrivimi la scena nei minimi particolari se non ti crea alcun problema.

Petra si mise comoda sulla poltrona di fronte a me e prese qualche istante per riportare alla memoria quei momenti. - Da qualche parte dovrei avere ancora quel fumetto, - esclamò - ed ogni volta che lo guardo mi provoca il medesimo turbamento.
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