Abel Wakaam
Panama
1° Panama, dentro la trama di un fumetto erotico
Isla de Taboga - Panama.

L'arrivo all'Aeroporto Tucumen pose fine ai due giorni più faticosi che Marcelo avesse mai vissuto, o almeno credeva, perché non era stato informato che nessun volo della Copa Airlines lo avrebbe portato sino all'isola di Taboga, situata nella Baia di Panama. Recuperati i bagagli, raggiunse il porto e si imbarcò sul traghetto di Calypso Queen, sperando fosse davvero l'ultima tratta di un viaggio infinito. Diecimila chilometri per incontrare uno degli artisti più ostici del pianeta, arrivato al successo grazie ai tratti inusuali della sua penna, e capace di conquistare la lontana Europa con le sue storie illustrate. Kemen era considerato l'erede naturale di Paolo Eleuteri Serpieri, un disegnatore di fumetti italiano, emigrato in Francia per far fortuna col personaggio di Druuna. Il motivo della visita di Marcelo era quello di fargli firmare un contratto in esclusiva per l'Unidad Editorial, prima della scadenza di una semplice forma di collaborazione, stipulata l'anno precedente.

Prima di lui, ci aveva provato la giovane Mercedes, figlia del maggior azionista della casa editoriale. Il padre, Enrique Santos, l'aveva spedita sul posto col duplice scopo di tenerla lontano dalle cattive compagnie che frequentava in Spagna, ma anche per controllare Kemen da vicino, affinché non si facesse distrarre da altre opportunità. Con la sua presenza a Taboga, negli ultimi mesi la produzione si era fatta meno discontinua ma, allo stesso tempo, si era indirizzata verso una vena decisamente più hard, preoccupando non poco il direttore artistico della casa editrice. Fu invece questa brusca virata a decretare lo strepitoso successo del nuovo fumetto, focalizzato su un personaggio femminile decisamente atipico e affascinante.

- Ci conosciamo da più di quarant'anni e sei l'unico di cui mi fido. - lo aveva pregato Enrique - Vai in quel maledetto posto fuori dal mondo, fai firmare il contratto a Kemen e riporta a casa al più presto la mia ragazza!

I due soci avevano fatto le scuole insieme e dato vita ad una piccola casa editoriale che, seppur con fatica, era divenuta pian piano una delle più grandi della penisola iberica. Col tempo, tra loro ci fu molto di più di una grande amicizia, tanto che Marcelo ne sposò la sorella, cementando un rapporto che non ebbe mai motivo di incrinarsi. Quando il traghetto fu in vista della pittoresca cittadina di Taboga, chiamò al cellulare Mercedes per preannunciare il suo arrivo, ma senza ottenere risposta. Solo più tardi ricevette un messaggio dalla ragazza con le indicazioni per l'appuntamento.

Dopo lo sbarco, percorse la Calle Francisco Pizarro sul lungomare fino ad incontrare un giardinetto fiorito, contornato da un parapetto dipinto di giallo e attese l'arrivo della ragazza. Si ricordava bene di quella piccola peste bionda, sempre pronta a mettersi nei guai col suo carattere selvatico, ma negli ultimi anni l'aveva persa di vista e non sapeva cosa aspettarsi. Quando se la trovò di fronte, ebbe un sussulto. - Sono venuta a prenderti perché Villa Hortensia è fuori città, - sorrise la ragazza, abbracciandolo con entusiasmo - da solo non l'avresti mai trovata.

Non ebbe nemmeno il tempo di rispondere che si ritrovò a seguirla tra le strette vie di Taboga, evitando di indugiare troppo sulle sue forme, ora che ragazzina non lo era più di certo. Spavalda, irriverente, indossava un paio di pantaloni azzurri, aderenti, ed un camicione bianco, sbottonato sul davanti, da cui emergevano una dozzina di collanine di ogni colore. Voltò lo sguardo per non vederla sculettare salendo i gradini che portavano al parcheggio e cominciò a domandarsi cosa mai l'avesse trattenuta in quel posto, così lontana dai locali di lusso che era solita frequentare in Spagna.

Quando aprì il baule della vecchia Hyundai Accent per sistemare le valige, vi trovò un paio di anfibi militari e un giubbotto di pelle nera, segno inequivocabile che l'auto appartenesse al misterioso disegnatore. Si accomodò sul sedile e Mercedes partì prima ancora che riuscisse a trovare la cintura: - Qui non si usa, - gli lanciò un'occhiata divertita - ci sono due dozzine di auto in tutta l'isola.

- Villa Hortensia è un hotel? - le domandò, seguendo con imbarazzo il suo giovane seno che traballava ad ogni scossone.

- No, è la casa di Kemen... alloggerai in alcune stanze che ti sono state riservate.

- E tu abiti a Taboga?

- Scherzi? - sbottò a ridere - La villa è un posto incantevole dove vivere, è immersa nel verde e dalle finestre si vede l'oceano.

- Ma... vivi con Lui?

- Mi ha ospitato sin dai primi giorni, sotto certi aspetti è un uomo molto generoso...

- ...visto cosa disegna, - la interruppe - pensavo fosse più conveniente stargli a dovuta distanza.

- Sei curioso, - replicò Mercedes - come pensi che sia Kemen?

- Tuo padre lo chiama il pazzo e il suo lavoro parla per lui. Non si può certo avere una mente normale per produrre storie di quel genere, negli ultimi mesi poi...

- Trovi che sia migliorato?

- Non riesco ad immaginarlo, quanti anni ha?

- E' un vecchio, - spiegò Mercedes - più o meno come te e mio padre, fisicamente intendo. Di testa invece è un vulcano sempre in eruzione. Non si ferma mai!

Quando giunsero alla villa, parcheggiò l'auto in malo modo e si incamminò sul vialetto sterrato: - Attento a dove metti i piedi, - lo avvertì - in questa zona dell'isola non è possibile lastricare i vialetti e il sentiero è pieno di radici sporgenti.

Marcelo la seguì, trascinandosi appresso le valige, poi le abbandonò davanti all'ingresso e si affacciò sulla soglia di casa. Vide Mercedes uscire dalla grande porta vetrata che dava verso sud e poi rientrare a chiamarlo: - Vieni... sei fortunato, il grande artista è all'opera!

Lo intravide sotto gli ultimi alberi, prima della scogliera. Gli si avvicinò camminando con attenzione e si accorse che se ne stava seduto per terra. Con una mano impugnava un frustino e con l'altra reggeva una bottiglia vuota.

- Che significa? - domandò preoccupato, cercando una risposta negli occhi della ragazza.

- Significa quello che vedi, anche oggi è ubriaco.

- Come può disegnare in queste condizioni?

- Ok... - esclamò Mercedes, facendogli cenno di rientrare in casa - credo sia il momento di dati qualche spiegazione, ma mi devi promettere che non farai la spia con mio padre.

- Comincia a parlare, poi si vedrà.

- Kemen è finito, non è più in grado di disegnare. Quei pochi soldi che gli avete mandato sono bastati a bruciargli il cervello. Negli ultimi quattro mesi sono io che lavoro al suo posto, la nuova eroina del fumetto, Kebe, è opera mia.

Marcelo si sedette sulla poltrona di vimini, si passò la mano sulla fronte e le prime parole che riuscì a dire furono: - Se lo scopre tuo padre ti chiude in un collegio per tutta la vita, già era preoccupato che tu vedessi quei disegni, figuriamoci scoprire che ne sei l'artefice. Ma come diavolo ti è venuto in mente di partorire quelle storie assurde?

- Le idee sono sue, - confessò - ogni tanto gli nascondo le bottiglie ed allora, pur di riaverle, comincia a raccontarmi di tutto.

- Mio Dio... - commentò.

- Sì, hai capito perfettamente, la trama racconta i sogni che Kemen sta facendo su di me.

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