Abel Wakaam
Phobos
1° Phobos, il senso della paura.
St Emin's Hill - Londra

Cleo si guardò intorno spaventata quando la portiera del vecchio "Black cabs" si richiuse sulle robuste cerniere di metallo. Cercò inutilmente l'insegna luminosa del locale e subito ebbe sentore di aver sbagliato qualcosa. Frugò nella borsa alla ricerca del suo immancabile taccuino per controllare l'indirizzo e, nel medesimo istante, si avvide che il display del cellulare era illuminato.

Una, due, tre chiamate ricevute senza risposta e due messaggi non letti: - Cazzo... - sbottò - l'ho lasciato impostato su silenzioso!

La prima chiamata risaliva addirittura a cinque ore prima, poi le altre. Stesso numero, quello di Sarah e poi gli SMS che spiegavano il motivo per cui non era lì ad attenderla. - Troppo tardi, - urlò, attirando l'attenzione di un passante - ora cosa diavolo ci faccio qui?

Si incamminò in tutta fretta sulla Broadway fino a raggiungere l'omonimo bar dalle tende azzurrine. Vi entrò con l'aria di chi si era persa nella jungla metropolitana, ordinò un the e cominciò a riflettere cercando una via di uscita. La ragazza dietro il bancone le sorrise. No... ad un uomo non lo avrebbe mai chiesto, ma ad una cameriera si, per chissà quale forma di solidarietà femminile. - Una curiosità, - esordì - è da queste parti il Phobos Club?

L'altra sorrise, si chinò verso di lei e fece un cenno di assenso col capo.

- E dove si trova esattamente? - continuò Cleo, frugando nella borsa senza la minima idea di cosa stesse cercando.

- Vi si accede dal James's Park, - sussurrò - ma serve l'invito.

- Mio Dio, - esclamò stupita - sembra di essere in un film di 007 dove bisogna scovare i codici di accesso per ogni porta segreta. Non ce l'ho invito, dovevo incontrarmi qui fuori con una mia collega di Londra e si è fratturata l'alluce inciampando in un marciapiedi...

- Allora vada lì, dica il suo nome e la faranno entrare.

- Da sola?

- Ho lavorato al Club come guardarobiera fino a qualche mese fa, gli inviti sono nominali.

- Non conosco nessuno... - scosse il capo - non saprei che fare.

- Se la sua amica aveva degli inviti, significa che qualcuno glieli avrà pur fatti... vi cercherà.

Mezzora dopo Cleo stava ancora girando disperatamente per il James's Park senza riuscire a trovare la minima traccia del Phobos. A risolvere la situazione fu un agente di controllo che la indirizzò nell'angolo più nascosto del parcheggio. Nessuna insegna, nessuna luce, solo una striminzita targhetta a lato di una porta d'acciaio che pareva l'ingresso al locale caldaie. Restò imbambolata col dito sul pulsante, indecisa su cosa fare, poi si spaventò per l'arrivo di un'auto e lo premette ripetutamente. Il rumore della serratura elettrica la fece sobbalzare. Entrò in una stanzetta con le pareti completamente tappezzate di velluto nero, le si fece incontro un uomo di colore, massiccio come un armadio a due ante, e le chiese un documento. Subito dopo arrivò una signora sulla cinquantina, bionda, con modi molto eleganti e la voce impostata. La pregò di seguirla e la condusse nell'atrio del Club. - Lasci pure ciò che non le serve in guardaroba e attenda qui, - le spiegò - verrà subito qualcuno ad occuparsi di lei.

Si lasciò andare in un sorriso quando vide comparire Giselle, era così felice di vedere un volto amico che l'abbracciò con veemenza, rassicurata dalla sua presenza. - Sarah si è fratturata l'alluce, - la informò - e io stupida avevo lasciato il cellulare su silenzioso, così non ho letto i suoi messaggi.

- Lo so, mi ha avvertita e ho mandato fuori qualcuno a cercarti... ma chissà dov'eri finita.

Il Phobos Club aveva un'aria antica e misteriosa, elegante si, ma allo stesso tempo equivoca. Eppure pareva l'unico posto al mondo dove si potevano incontrare tutti insieme i manager della Londra che conta, quelli che non seguono l'andamento del mercato, ma lo decidono. 
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