Conobbi Alice vent'anni or sono in una torrida giornata d'agosto sulla spiaggia di Tropea. Portava i capelli raccolti in una lunga treccia, adagiata sulla spalla, ed il suo microscopico bikini accendeva di tentazione lo sguardo dei maschi locali, arroccati sulle rocce a strapiombo sul mare. Rappresentava una sfida all'equilibrio, tanto che circolavano scommesse e dicerie prive di ogni fondamento, con cui ognuno di noi ipotizzava una fantasiosa spiegazione sul fatto che ancora non fosse caduto, lasciando il suo seno tondo e sodo in bella vista.
Quello che non accadde per l'intero mese di agosto, avvenne il primo giorno del mese successivo, quando ormai ci eravamo arresi alla maledizione del destino. Francesco, il bagnino, stava ancora cercando di innalzare la bandierina rossa che vietava di lasciare il bagnasciuga, frustato dalle onde della burrasca, quando lei scese dalla ripida scalinata che dalla piazza portava direttamente giù, a livello del mare.
Seppi poi che il tranello fu ispirato da Giovanni per cercare di recuperare qualche migliaia di lire giocate per scommessa. Aveva convinto suo fratellino più piccolo a correrle appresso come un pazzo, fingendo di cadere, per poi trovare salvezza aggrappandosi al microscopico costume.
Forse non aveva calcolato l'altezza a cui poteva arrivare il ragazzino oppure si era mal spiegato, fatto sta che il moccioso strappò di botto lo slip di Alice e la lasciò mezza nuda nel punto più esposto del tragitto. Quella fu la prima volta che la sorte si degnò di voltarsi dalla mia parte, dopo anni di inspiegabile indifferenza, e mi catapultò venti gradini più sotto, proprio davanti al colpevole in fuga. I suoi occhietti furbi intuirono che non aveva scampo e, pur di tentare il tutto per tutto, si liberò del maltolto, gettandomelo tra le braccia.
Fu così che conobbi Alice, superando quel momento di imbarazzo in cui ero costretto a guardarla negli occhi perché lo sguardo basso rappresentava una provocazione che non potevo permettermi. Scoprii che abitava in un paesino sul lago di Como e frequentava l'Università Cattolica a Milano, studiava filosofia ed era più bella che mai.
Dieci anni più tardi ci sposammo. Lei prese ad insegnare quella stessa complicata materia con cui torturava le mie serate di sport in televisione ed io mi gettai anima e corpo nella realizzazione del mio sogno infantile: disegnare delle case che non avessero eguali.
Da quel giorno sulla spiaggia di Tropea, la sorte mi era rimasta amica ed un importante studio d'architettura milanese aveva spalancato le porte al mio estro, concedendomi di scalare a grandi passi la ripida salita che portava al piano dirigenziale. Dopo altri cinque anni avevamo raggiunto entrambi quel posto al sole che sicuramente meritavamo, ma avevamo perso per strada la passione.
Raccontata così sembra una storia che esala l'ultimo respiro, ma noi avevamo vissuto felicemente quei quindici anni di spensierata convivenza e non avremmo mai accettato di essere travolti dalla crisi. Nella sua pacata analisi del nostro rapporto, Alice evidenziò come entrambi avessimo puntato sui propri risultati personali, mettendo in secondo piano quelli di coppia, ed ora ci ritrovavamo senza ulteriori stimoli... senza nuove mete da raggiungere.
Naturalmente il mio esame del problema aveva un approccio molto più banale e maschile, riducendo ogni responsabilità al calo di desiderio che incombe tra i coniugi dopo tanto tempo passato insieme. Ci conoscevamo troppo, era scomparso ogni segreto, ogni istintivo gesto di complicità, riducendo il nostro rapporto ad un grande sentimento reciproco che ci impediva di lasciarci.
Ci vollero altri sei mesi di discussioni atroci e di silenzi eterni, poi di colpo il faccia a faccia che ci portò a prendere una decisione ragionata. - Nessuno dei due può arrogarsi il diritto di possedere la verità assoluta, - esclamò, citando chissà quale filosofo - quindi dovremo sperimentare le nostre teorie per verificarne la validità.
Ecco ripresentarsi l'eterna battaglia tra moglie e marito, da una parte la sfera emotiva e dall'altra quella sessuale, con la possibilità di processarle entrambe nella pratica di ogni giorno per trarne l'ardua sentenza. Inutile dire che la precedenza andò alla sua scelta: - ...perché è la più logica, - affermò, senza timore di essere smentita - quindi partiremo da lì.
Partimmo bene e giuro che mi impegnai a fondo per evitare di contrariarla... anche perché, in questo modo, avrei ricevuto la stessa collaborazione il mese successivo, quando, inevitabilmente ci dovemmo arrendere all'evidenza del fallimento. I nostri rapporti erano migliorati, non lo nego, ma pur soffiando sulla brace della passione, le fiamme non vollero saperne di rischiararci la vita.
Toccava a me e di colpo l'entusiasmo si trasformò in un pentolone ardente dove friggevano mille dubbi e poche certezze, lasciandomi in balia di un senso di vuoto assoluto. Fu Alice a venirmi in soccorso, mettendosi a mia disposizione anima e corpo, alla ricerca di qualsiasi soluzione che potesse salvare il nostro rapporto. - Cosa vuoi che faccia, - sorrise - sono disposta anche ad imparare la danza dei sette veli pur di vincere questa apatia!
Ed io invece, confuso dalle mille perversioni inappagate che mi ero costruito negli anni passati, non trovai di meglio che trascinarla in un sexy shop.
Mi prese sotto braccio mentre scendevamo i quattro gradini del seminterrato ed il portoncino blindato ci apparì come l'antro spregevole dell'inferno, pronto a bruciarci sulla soglia appena avremmo bussato. Imbarazzo si, ma anche curiosità ed un pizzico di eccitazione, subito raffreddata dalla presenza di alcuni clienti dall'aspetto truce.
Prima la sensuale lingerie, indossata da manichini dall'aspetto severo, poi un giro tra le copertine oscene dei film hard, divisi ordinatamente per gusti e categorie... ed infine, quando l'ambiente sembrò svuotarsi dalla facce scure che lo popolavano, trovai il coraggio di spingerla tra le vetrine colme di oggettistica personale.
Rise, forse per il nervosismo oppure per l'assurdità di quei falli giganteschi che spuntavano dal loro basamento munito di scroto, senza che i suoi occhi si fermassero un attimo su un punto definito. Non voleva darmi un riferimento, o forse si vergognava di manifestare i propri gusti, finché, spinta dalle mie assillanti richieste, puntò il dito verso la più banale delle scelte.
Era un semplice cilindro di silicone giallo, su cui capeggiava un cono rovesciato con la base più larga di qualche millimetro e, per certi versi, aveva un suo stile, ma tutt'altro sembrava al di fuori di un fallo. - Perché questo? - le domandai, evitando di manifestare il mio disappunto.
- Perché la sua forma non mi imbarazza ed il suo scopo non si discosta dagli altri.
Nessun commento, non potevo permettermi di sciupare quell'occasione, ma ci pensò il commesso a creare scompiglio, con la sua vocetta da gay che sembrava fuori luogo. - Col primo acquisto vi spetta anche la tessera del Club, - disse - nella busta c'è il pin di attivazione per accedere al sito Internet, dove potrete sfogliare il catalogo on-line e consultare gli annunci delle coppie.
L'aria fuori era fredda. Una pioggia fine e fastidiosa ci investì sul viso, ridandoci il senso della libertà ritrovata. La corsa verso la metropolitana si trasformò in una fuga verso la quiete che ritrovammo soltanto nel salotto di casa. L'oggetto del desiderio adesso era lì, ancora incartato nel suo imballo anonimo al centro del tavolino di cristallo, Alice lasciò cadere l'impermeabile sul tappeto persiano e si sedette nell'angolo opposto del divano di alcantara.
Non lo raccolse, trasgredendo alle sue ferree regole di ordine e organizzazione, mi guardò con occhi languidi e mi stupì come non aveva mai fatto: - Lasciamolo lì almeno una settimana, - esclamò, sistemandosi i capelli bagnati - voglio avere il tempo di desiderarlo dentro di me.
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