Abel Wakaam
Il Dio della luna
1° Il Dio della luna, un'avventura ambientata in Madagascar.
Il crepuscolo li accolse all'imbocco della baia di Mahajamba.
La grande nave accostò lentamente alla riva tra i fischi del nostromo che seguiva con attenzione i marinai a terra, impegnati a tirare con forza le ruvide cime. Attese che il grosso scafo si appoggiasse goffamente al pontile, scricchiolando nel suo fasciame impregnato di pece, e diede ordine che spingessero sul molo la passerella incrostata di salsedine, liberando i passeggeri dalla loro forzata prigionia.
- Potete scendere, - gridò, battendo col frustino sulla gomena arrotolata ai suoi piedi - il vostro viaggio è arrivato al capolinea. Forse era finito per i pescatori di gamberi, giunti da Mombasa con un sacco di juta sulla spalla, o per i mercanti di Zanzibar che impartivano nervosamente i loro ordini in swahili, voltandosi per controllare che venissero prontamente eseguiti. Non lo era certamente per Sophie ed il suo enorme baule di cuoio ed ottone, ingombrante compagno con cui aveva attraversato l'Africa intera.

Dentro c'era il suo piccolo mondo di provincia, quell'angolo di Bretagna che aveva dovuto lasciare in tutta fretta per non finire soffocata dalla gente.
A nulla era servito cercare scampo nella tranquilla Algeri, troppo vicina alla madre patria per non risentire degli echi che provenivano dalla sponda opposta del Mediterraneo.

Fu così che accettò di intraprendere quel viaggio carico di speranza che l'avrebbe portata oltre il canale di Suez, fino a raggiungere le incontaminate foreste del Madagascar.
Ora le era rimasto l'ultimo tratto da percorrere, il più breve ma anche il più selvaggio, il più pericoloso, fino alla grande diga che aveva cambiato il volto del fiume Mangarahara.

Era il posto più lontano in cui le era stato offerto un lavoro, il suo lavoro, e lei che amava l'insegnamento più della propria vita, aveva immediatamente accettato.
Ora sedeva compita sopra il coperchio ammaccato della cassa, in mano stringeva l'agenda rossa in cui aveva annotato ogni appunto, e si guardava in giro roteando il capo con circospezione, sperando di veder apparire da un momento all'altro il battello che l'avrebbe accompagnata lungo il corso del fiume.

Accanto a lei un gruppo di donne ed una nidiata di bambini. Per quanto non stessero fermi un istante, costituivano l'unica fonte di tranquillità all'avvicinarsi della notte. Un battito di ciglia e gli ultimi sprazzi di luce vennero sommersi dalla grande ombra, un immenso mantello nero che offuscò i contorni della baia fino ad inghiottirli nella sua coltre ovattata.

- Mangarahara… - domandò, indicando il borbottio di un motore lontano.
- Mangarahara... - rispose una delle donne, stringendo tra le braccia il più piccolo dei suoi figli.
Gli uomini intorno sembravano contrariati dal ritardo, ma il solo fatto di sentire quel rombo cupo che si avvicinava sospinto dal vento, mitigava le preoccupazioni di Sophie.

Era la prima volta da quel maledetto giorno dell'incidente che avvertiva il brivido secco della paura, e quel sentirsi impotente di fronte ad ogni evento, diede una sferzata improvvisa ai suoi fragili nervi.
Lo sapeva perché l'avevano avvertita, il Madagascar non era una terra per donne sole e indifese, specialmente se provenivano da quella Francia che per anni aveva gestito il potere in modo subdolo e arrogante. Ora ufficialmente era una nazione indipendente, ma l'economia restava saldamente nelle mani delle grandi multinazionali che ne avevano sfruttato ogni risorsa e tuttora condizionavano le decisioni politiche del Governo.

Trattenne il respiro in quel crescendo di nervosismo e di frenesia, finché le luci traballanti del battello si intravidero tra la vegetazione della riva.
Prima gli uomini, che conquistarono il ponte con un gran balzo dalla banchina, poi i bagagli ed i bambini passati di mano in mano come se si trattasse di secchi colmi d'acqua per spegnere un immane incendio.

Lei fu l'ultima a salire, trascinando il baule sulla passerella fatiscente, e quando credette di cadere di sotto col suo carico di speranza e disperazione, trovò l'aiuto di quella donna che le era stata seduta a fianco per tutto il tempo dell'attesa. Il bambino stretto al collo, sorretto dolcemente con un braccio, mentre con l'altra mano, forte e risoluta, afferrò con impeto la maniglia di ottone e la tirò a bordo con un solenne strattone.

- Grazie… - balbettò - da sola non ce l'avrei mai fatta, ma perché tanta fretta?
- La barca si ferma solo il tempo necessario per far salire tutti a bordo, poi getta l'ancora al centro della baia ed attende il mattino per intraprendere il viaggio di ritorno. Ognuno si affretta a trovare il posto più comodo per dormire… e per viaggiare.

Le sembrò strano che fosse rimasto libero quell'angolo piano sul fasciame di prua, si fece aiutare a sistemare il baule accanto all'argano e finalmente poté sdraiarsi a rimirare le stelle.
Era la sua prima notte nella terra degli Andriana e degli Andevo… tra i primi venivano scelti i Re, gli altri nascevano e morivano schiavi.
Il primo grande impero unificò i due terzi dell'isola sotto la dinastia dei Maroserana. I Sakalava conquistarono tutta la costa ovest e fondarono i due regni del Menabe e del Boima, lasciando lo spazio residuo al confinante Betsimisaraka, nato dalla confederazioni delle tribù residue, ma destinato a soccombere all'incalzante egemonia dei Merina e poi alla colonizzazione francese.

Solo le stelle erano le stesse di allora, quando i leggendari Vazimba regnavano su un mondo in cui l'acqua, la terra ed il cielo erano una cosa sola.
Sophie chiuse gli occhi per un solo istante, un battito di ciglia e la notte, dolce ed infida, la rapì.

Venne la brezza lieve dal mare a scompigliarle i capelli, ed il verso stridulo dei predatori notturni a distoglierla dai sogni. Strinse le dita sul laccio che serrava l'agenda, appoggiata alla guancia, e spinse indietro la nuca sul lucchetto del suo poderoso baule.

Non ebbe nemmeno il tempo di immaginare cosa le avrebbe riservato il domani, perché il domani arrivò all'improvviso.
La catena dell'ancora si arrotolò sulla ruota nodosa dell'argano cigolando come un animale ferito, e di colpo la vita sembrò ridestarsi dal profondo della foresta, all'unisono col primo raggio di sole.
Lo sbuffo del vecchio motore diesel rimbombò nella baia, invadendola col suo brontolio, ed il marinaio urtò Sophie su di un fianco mentre cercava di scavalcare il suo voluminoso bagaglio.

Non impiegò molto a capire per quale arcana coincidenza avesse trovato libero quel posto a prua, gli spruzzi sembravano giocare con la chiglia di legno massiccio, finendo ben oltre la protezione del ponte. Ma bastò uno sguardo intorno per comprendere in quale paradiso fosse capitata. Quando Dio ha disegnato questa terra, - sospirò - deve aver avuto a disposizione solo il verde e l'azzurro sulla tavolozza dei colori.
Acqua, foresta e cielo amalgamati dal pennello fatato della natura in un insieme senza eguali. La baia di Mahajamba risplendeva di luce propria, nel miracolo della nuova aurora.

L'imboccatura del fiume apparve da subito nella sua maestosità. La corrente impetuosa spinse la barca verso la sponda più lontana e gli spruzzi dei gorghi divennero un vero tormento.
Fu allora che Sophie decise di metter mano al lucchetto del suo tesoro nascosto, rigirò la chiave nella toppa facendola comparire dal nulla, e rovistò sotto il coperchio, controllata a vista dagli occhi curiosi dei bambini.
Ne trasse un ombrello color dell'arcobaleno. Lo aprì, liberando il gancio a molla dal legaccio di raso, e lo frappose tra lei e la prua, chinandosi quel tanto che bastava a ripararsi dall'acqua.

Risero le donne, divertite da quel piccolo ingegno, un po' meno i loro nervosi consorti, infastiditi dalle gocce che si rifrangevano sulla tela colorata, investendoli a ondate successive.

Superato il punto d'incontro con la marea, il fiume si fece lento e tranquillo, e lo scafo pareva scivolare sul pelo dell'acqua senza nemmeno scalfirlo, nonostante la sua tozza mole.
La prima vera sosta avvenne in prossimità di Ambinanitelo, dove una buona parte dei passeggeri sembrava esser giunta a destinazione. Intanto Sophie era riuscita a superare la diffidenza di Alizée, la donna che l'aveva aiutata a caricare il baule, e con lei si era addentrata nel mondo sperduto del Mangarahara, dove entrambe erano dirette. - E' l'unico posto in cui mi sento davvero a casa, - raccontò, stringendo con dolcezza il bimbo al seno - l'unico in cui vorrei veder crescere mio figlio.
I suoi occhi, velati di tristezza, sembrarono accendersi di una luce diversa mentre pronunciava quel nome, e lo sguardo si perse nell'inseguire chissà quali ricordi, suscitando una strana emozione.
Scesero a terra insieme, aiutandosi l'un l'altra a trasbordare figli e bagagli tra i pali di sostegno di quell'improvvisato ufficio di navigazione. Il militare con la divisa disordinata le seguì con lo sguardo annoiato, masticando uno stelo d'erba.

- Sei mai stata alla diga? - chiese Sophie, sgranchendosi le gambe dopo il faticoso viaggio.
- Persino gli spiriti della foresta le stanno alla larga, - rispose Alisée - e gli uomini del villaggio che hanno osato sfidare i suoi demoni non sono più tornati indietro. I Francesi la chiamano Barrage, ma per tutti noi è soltanto una sventura.
- E' soltanto un'opera dell'ingegno umano, - provò a rassicurarla - uno sbarramento del fiume per produrre energia elettrica e prevenire le inondazioni.
- Rubano la nostra acqua e la trasformano in nuvole, non una sola goccia scende più dal Mangarahara.

- Una centrale idroelettrica usa l'acqua in caduta per far girare le turbine, - insistette Sophie - non è possibile che la trattengano tutta prima dello sbarramento… prima o poi tracimerebbe.
- Aspetta di vederla! - sorrise Alisée, sfilandosi dal collo un laccio di cuoio con appeso un dente di squalo - Se sei venuta sin qui per andare alla diga… allora hai bisogno di un amuleto che ti protegga.
Lo roteò tre volte nell'aria, stringendolo in pugno prima che terminasse l'ultimo giro, e glielo porse alzando gli occhi al cielo e ripetendo più volte il nome degli antichi defunti.

- Mi hanno assunta per insegnare ai figli degli ingegneri che lavorano al Barrage, - spiegò, accettando con entusiasmo quel piccolo dono - ma ho proprio bisogno che qualche spirito buono vegli sulla mia vita… te ne sono immensamente grata.

La quiete di Ambinanitelo venne rotta dal rombo di un potente motoscafo che risaliva il fiume a grande velocità. - Ecco, quelli sono i tuoi amici, - esclamò la donna, richiamando i bambini accanto a sé - se riesci a farti notare arriverai a destinazione molto prima del previsto.
Si alzò subito in piedi scrutando l'orizzonte. Era combattuta tra il continuare il viaggio con Alizée o accorciare quella lenta agonia verso la meta. Si chinò accanto a lei, accarezzando i piedi scalzi del bimbo e sussurrò: - Cosa posso fare per aiutarti?

- Se vuoi davvero aiutare me e tutto il mio popolo, fai crollare la diga e libera le acque del fiume perché possano scorrere nel loro antico letto.
- Ci rivedremo?- chiese Sophie, agitando le braccia per farsi notare dal motoscafo.
- Stanne certa, - rispose l'altra - ma non ti so dire se accadrà in questa o in un'altra vita.

Il primo ad accorgersi di lei fu il marinaio a prua, addetto al controllo del fondale. Si voltò verso il capitano e indicò la riva. Una giovane donna bianca si nota subito in mezzo ad un gruppo di Malgasci, lo scafo lucente piegò a dritta e si accostò alla riva.

- Sono Sophie Barrel, - si presentò, cercando di sistemarsi i capelli - devo prendere servizio come insegnante alla centrale idroelettrica.
- L'aspettavamo due giorni fa, - rispose l'ufficiale - l'abbiamo cercata per tutta la baia.

- La navigazione nel canale del Mozambico non è una passeggiata lungo la Senna… - si giustificò - ma credo sia già un miracolo l'essere arrivata sin qui!
- Mando subito qualcuno a terra per prelevare i suoi bagagli, mi chiamo Gabriel Monet e sono il responsabile della sicurezza di Barrage.
- Ho solo questo baule, - spiegò, tirando un sospiro di sollievo - ma se avete ancora posto potremmo dare un passaggio a questa donna e ai suoi figli. Se non fosse per lei sarei ancora a Mahajamba.

- Non vorrei sembrare scortese, ma abbiamo un regolamento che vieta espressamente di far salire a bordo chiunque non faccia parte della Compagnia, se le accadesse qualcosa, quelli dell'assicurazione giocherebbero a calci con la mia carcassa prima di gettarla dal punto più alto della diga. Proprio non è possibile… mi spiace.

L'abbraccio di Alizée le restò addosso come l'odore di un figlio da cui non vorresti mai separarti, dolce come la sua bocca golosa, forte come la sua paura di perderti.
Vide sfumare i suoi contorni sulla riva mentre il veloce motoscafo riprendeva la corsa lungo il fiume. Le sembrò di sentirla gridare un attimo prima di perderla, alzò un braccio per rassicurarla ed un brivido le corse lungo la schiena.
- Sembra che il destino voglia separarmi da ogni essere umano che abbia un cuore, - pensò - oppure è soltanto la giusta condanna per chi, come me, deve espiare la propria colpa.

Le tornò alla mente la sorte dell'ultima Regina dei Merina, deposta dai colonizzatori francesi ed esiliata ad Algeri.
Anche lei scacciata, anche lei umiliata… privata di ogni dignità, costretta a vivere lontana dalla propria terra e destinata a morire senza più rivederla.
Ne aveva riscoperto le tracce durante la permanenza nella capitale algerina e, forse proprio per quella strana analogia, aveva imparato ad amarla. Fu proprio la costante ricerca di notizie che la riguardavano a metterla in contatto col professor Deschamps e, attraverso le sue amicizie altolocate, le era stato offerto il lavoro alla diga.

Chiunque altro si sarebbe rifiutato di abbandonare la civiltà per rinchiudersi in quel villaggio sperduto su un altopiano del Madagascar, ma a Sophie sembrò la soluzione di tutti i problemi, il punto di partenza per una nuova rinascita.
- Per capire cosa desideri davvero un animale intelligente, - le aveva detto il professore - occorre di tanto in tanto lasciarlo libero. E noi non siamo da meno… altrimenti non avremmo popolato tanto in fretta questo pianeta!

Libertà, ma si è davvero liberi di scegliere l'unica strada che ci resta? Eppure a volte il destino cambia le regole del gioco, le inverte… le confonde. E quando crediamo di non avere scampo, ci concede un'altra occasione.
- L'inferno può attendere, - si concesse sorridendo un eufemismo - per ora sono così abbagliata da questo paradiso!

Un'imprecazione del marinaio a prua la distolse dalla calma irreale in cui si era calata. Immediatamente dalla riva si levarono le grida disperate di chissà quale animale in procinto di finire in pasto al predatore di turno.
- E' Franzisco… - asserì il militare, segnalando la sagoma sgraziata dell'imbarcazione che li precedeva - se non riusciamo a superarlo prima delle rapide, ce lo troveremo davanti per ore.
- Dai la massima potenza ai motori e suona la sirena, - rispose Gabriel, ordinando a Sophie di mettersi sottocoperta - e se non ci da strada, spara un razzo di avvertimento!

L'equipaggio della grossa chiatta sembrò non accorgersi di quel fermento alle proprie spalle, e continuò imperterrito a mantenere la rotta nel centro della corrente.
- Chi è Franzisco? - domandò la donna, reggendosi a stento tra gli oggetti che cadevano da ogni parte.
- …un maledetto contrabbandiere e cacciatore di frodo, - rispose il comandante - un verme schifoso che la polizia locale fa finta di non vedere.
- E voi non potete intervenire?
- I rapporti tra il Governo e la Compagnia non sono idilliaci, ci trattano come stranieri quando senza di noi la loro economia crollerebbe in tre mesi.
- Ma noi oggi siamo stranieri, dal 1960 la Repubblica del Madagascar è un paese libero!

- La libertà di una nazione è un compromesso tra la politica e l'economia, - continuò Gabriel - il presidente Tsiranana sta tentando di mantenere un allineamento con le potenze occidentali… e una stretta collaborazione militare e culturale con la Francia, ma ci sono dissidenti interni che cercano di rompere questo equilibro, e la regione del Mangarahara è il rifugio preferito di questi ribelli. Ora però si regga forte, stiamo per entrare nell'onda d'urto della chiatta.

L'impatto con la scia del barcone fece sobbalzare il baule di Sophie mandandolo a sbattere contro il pozzetto di poppa. Le due cerniere di ottone saltarono dai cardini strappando le viti dal legno, ed il coperchio si rovesciò dalla parte opposta, restando attaccato soltanto per il lucchetto.
- Quel figlio di puttana ci ha dato strada dalla parte sbagliata, - gridò il timoniere - se lo superiamo a dritta finiremo sulle secche!
- Le piogge degli ultimi giorni hanno gonfiato il fiume, - lo tranquillizzò Monet - infilati in quel dannato canale o dovremo sorbirci questo maledetto puzzo per altri trenta chilometri.

Gli sbuffi neri che fuoriuscivano dalle due ciminiere, fissate col fil di ferro nel mezzo della chiatta, aumentarono di colpo la loro intensità, e la corsa per arrivare primi alla strozzatura tra le rapide divenne una battaglia senza esclusioni di colpi. - C'è un tronco… c'è un tronco che affiora - urlò a squarciagola la vedetta di prua - se continuiamo così ci finiremo dritti addosso!

Ci fu solo il tempo di virare verso riva, un minuto di terrore in cui il destino poteva decidere ancora tragicamente sulla vita di Sophie e degli occupanti del motoscafo. Si portò istintivamente le mani al collo, cercando il crocefisso… e si trovò a stringere il dente di squalo che le aveva donato Alisée.

La chiglia scivolò sulla fanghiglia del fondo, strusciando tra le erbe alte della riva, e si arrestò tra il groviglio di rami di un albero gigantesco, strappato alla foresta dalla forza di un'antica burrasca.
Sophie si ritrovò a gambe all'aria col contenuto del suo prezioso baule sparso per mezza barca, tra gli improperi dei membri dell'equipaggio che cercavano di districarsi tra le fronde.

Ci volle quasi un'ora per liberarsi da quell'intrico e parecchi minuti per raggiungere di nuovo la chiatta, seguendo quella puzzolente scia di fumo che si lasciava alle spalle con i motori spinti al massimo.
- Lo vedo, - gridò uno dei marinai - se mi autorizza posso piantargli una pallottola in mezzo alla fronte.
- Non è questo il momento e nemmeno il posto adatto ad una resa dei conti, - grugnì il capitano - ho scritto il suo nome in cima alla lista da mandare al generale Massou, penserà lui a far piazza pulita di questi bastardi!

Franzisco se ne stava sdraiato tra le pile di casse accatastate a poppa. Di tanto in tanto si alzava dalla sua poltrona da autocarro, rivestita di pellame non conciato, e rigirava i grossi pesci sulla griglia che sporgeva dalla barca, spruzzandoli di olio e spezie.

I suoi lineamenti sembravano europei, ma il taglio degli occhi lasciava intendere qualche antenato africano, così come il colore ambrato della sua pelle, segnata da chissà quali battaglie. I capelli grigi legati sulla nuca, la barba incolta… le grosse vene nervose, ben visibili sulle braccia, e quell'aria misteriosa e selvaggia che i Malgasci del Mangarahara ben conoscevano.
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