Jakira era nata a San Paolo nella calda estate del sessantaquattro. Sua madre era una scrittrice olandese, sbarcata in Brasile alla ricerca dei misteriosi riti che accompagnano le sensuali notti delle baraccopoli di periferia, e si era innamorata di quella terra al punto da sceglierla come nuova patria. Negli anni che seguirono, andò a vivere nella elegante villa di Oscar Montalto, un ricco possidente spagnolo che doveva la sua fortuna all'esportazione di caffè. Nessuno osò mai affermare pubblicamente che fosse lui il padre della ragazza, ma la servitù vociferava delle sue frequenti visite notturne nella camera degli ospiti. Di fatto non sposò mai la bella Martine che continuò a vivergli a fianco per gli anni a venire, finché, ritornata in Europa per consegnare i suoi manoscritti all'editore tedesco, scomparse tragicamente in un incidente d'auto sotto gli occhi della figlia ventenne. Per quanto Montalto insistette perché Jakira tornasse a vivere con lui, la ragazza preferì alloggiare con i nonni materni, pur restando in contatto con l'uomo che sua madre tanto aveva amato. Nel dicembre del duemila, dopo alcuni mesi di silenzio, ricevette una lettera da un avvocato brasiliano, che la pregava di raggiungere con urgenza il suo studio di San Paolo, per discutere di problemi che la riguardavano. Lo sentì al telefono ed apprese delle condizioni disperate in cui si trovava Oscar Montalto, coinvolto in un disastro economico che aveva contribuito a peggiorare le già critiche condizioni del suo vecchio cuore.
Al momento del ritorno in quella che considerava ancora la sua terra natia, Jakira aveva trentasei anni, due figli ed un marito con cui dirigeva un'importante azienda di moda, di cui insieme detenevano la maggioranza delle azioni. Non era più la ragazzina capricciosa di quei giorni spensierati, le sue lunghe trecce avevano lasciato il posto ad un corto caschetto biondo, e la corporatura esile si era raffinata nelle splendide forme di una donna.
Il colore appena ambrato della sua pelle aggiungeva un fascino particolare al suo fisico atletico, e persino quei suoi grossi seni di chiara eredità materna sembravano scolpiti dalla mano esperta di un artista. Bella e selvatica, era questo il primo pensiero di chi la conosceva bene, e persino suo marito non era mai riuscito a domarla. Pretendeva sempre l'ultima parola e difficilmente le sue intuizioni si rivelavano sbagliate, solo a letto si rimetteva ai voleri di Marco, che poteva così vendicarsi dei mille piccoli dispetti quotidiani.
Il sesso occupava un posto specifico nella sua vita, era una stanza ovattata in cui rinchiudersi per godere, e non aveva mai sollevato troppe obiezioni alle variazioni sul tema, purché non uscissero dall'intimità di quelle pareti. Aveva delle preferenze ed anche dei limiti, come tutti d'altronde, una sfacciata predilezione nel subire il sesso orale ed una repulsione a praticarlo... ma il suo compagno di giochi sapeva come imbrogliarla al momento opportuno.
Ora in fondo non le spiaceva partire, a San Paolo aveva lasciato i ricordi della sua gioventù, e due settimane di vacanze su una delle spiagge più belle del mondo l'avrebbero ritemprata dei rigori dell'inverno olandese. L'idea di incontrare le vecchie amiche di un tempo la mise di buon umore, e poi c'erano quei ragazzi con cui passava le lunghe giornate al mare, i giochi, gli scherzi... gli amori.
Di uno certo non poteva dimenticarsi, Carlos, il suo primo e unico fidanzato brasiliano. Amava definirsi il "maestro di baci, e fu lui a stuzzicare i suoi desideri con mille piccole proposte fantasiose.
L'arrivo a San Paolo coincise purtroppo con la morte di Montaldo, e l'apertura del suo testamento fu chiesta con urgenza da un'infinità di parenti venuti da lontano, desiderosi di sapere se mai fosse rimasta qualche briciola del suo antico patrimonio, per poi tornarsene di fretta nei loro paesini sperduti. Terre e denaro erano già stati bruciati nell'inutile tentativo di risanare i bilanci dell'azienda rovinosamente fallita, era rimasta indenne solo la vecchia villa di famiglia, e con immenso stupore dei presenti, venne lasciata interamente a Jakira.
Tra quelle mura c'era una parte considerevole della sua vita. Di colpo, il colore delle pareti prese corpo dentro ai pensieri... il patio, il dondolo da cui cadde almeno un centinaio di volte, la sua camera con le nuvole disegnate sul soffitto e quell'immenso salone che si affacciava sull'oceano. In una sola stanza non era mai potuta entrare, il tenebroso studio di sua madre con la porta sempre chiusa a chiave. Ne comprese il motivo quando ormai l'aveva persa e tutti i giornali parlarono della scandalosa scrittrice olandese che aveva osato raccontare in prima persona le tentazioni di una donna che si accingeva a vivere davvero dopo i quarant'anni.
Non lesse mai i suoi libri, anzi, non diede nemmeno il consenso alla pubblicazione di quell'ultima opera che volle sotterrare con lei, perché le tenesse compagnia nell'ultimo disperato viaggio oltre la vita. Ora ne era pentita, ma quel plico, racchiuso nella busta arancione era ormai scomparso per sempre, tornanto a confondersi con la stessa essenza di chi l'aveva scritto.
Quello che Jakira non poteva sapere, era che ben presto avrebbe ripercorso la stessa storia raccontata dall'ultimo romanzo della madre, e che tutto questo avrebbe mutato per sempre la sua vita.
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