Abel Wakaam
Arabesque
1° Arabesque, risalendo il fiume
Dakar (Senegal)

L'urlo inquietante delle sirene si infilava nei vicoli del porto vecchio, sibilando come un animale ferito che corre a nascondersi nell'ombra. Dakar appariva come un termitaio in cui gli uomini e le navi si spingevano sulle banchine unte di gasolio e sudore. L'aria era così calda e nauseabonda da dare il voltastomaco.

Fu in quel tumulto che l'autista del camion rosso arrestò il suo vecchio rottame sul ciglio della strada, la più trafficata che conduceva dall'aeroporto al centro della città. Ne scese una donna europea, si guardò intorno con attenzione, sbattendo la portiera arrugginita, poi scomparve in quell'intrico di vicoli angusti.

Nessuno è tanto folle da lasciare l'Avenue Felix Ebouè per infilarsi nella Medina se non ha un motivo ben preciso, a meno che ci sia una guida esperta ad attenderlo. Mentre camminava, si issò sulla spalla il grosso zaino sgualcito, tirò la cinghia con una mano e con l'altra cercò di bilanciarne il peso. Nel mentre si sistemava nei jeans la canottiera di cotone nero, tanto logora da cadere a pezzi. Era giovane, non più di una trentina d'anni che il sole aveva bruciato col suo schiaffo color bruno... stessa tinta di quegli occhi sornioni, nascosti dalle lenti scure.

Camminò senza mai voltarsi tra gli stretti passaggi della Medina. I sandali di cuoio lasciavano intravedere lo smalto rosa, spalmato sulle unghie in tutta fretta, strano contrasto con la camminata elegante che accompagnava ogni passo con un movimento armonioso del corpo. Bella e trasandata, era quella l'impressione che lasciava dietro sé con noncuranza, e mille occhi scuri la seguivano con attenzione, cercando di scoprire quale fosse la sua meta.

Il Wolof era il luogo d'incontro per i mercanti Fulani che salivano dal Gambia. Portava il nome della lingua comune con cui potevano dialogare con i Senegalesi e trattare il prezzo del cuore di palma, prima ancora che i loro sgangherati barconi attraccassero in banchina. Venivano dalle acque placide dell'omonimo fiume e da qualche porticciolo nascosto nelle paludi di mangrovie. Portavano con sé la speranza d'imbarcarsi su una grande nave per l'Europa, ma in fondo era soltanto un sogno da cui era meglio non svegliarsi mai.

Tutti si fermarono a guardarla appena varcò la soglia della locanda, il brusio cessò di colpo per riprendere immediatamente con un tono più sommesso. - Una birra ghiacciata! - ordinò, appoggiando una banconota da dieci franchi sul bancone appiccicaticcio, ma tenne le dita ben premute sul bordo inferiore della filigrana finché non fu servita. - Il resto tienilo, - sorrise - ma trovami una stanza pulita in cui farmi una doccia.

- Non ci sono docce, - rispose l'oste in un buon francese - ma posso mandarti mia figlia in camera con qualche brocca di acqua scaldata al sole.

- Mi chiamo Céline Khou, - annuì - verrà un uomo dai capelli grigi... con la barba, a cercare di me. Tienilo occupato finché non sarò presentabile.

- Quell'uomo è già qui, si è alzato adesso dal tavolo vicino alla finestra ed è entrato nella toilette.

- Un bel coraggio... non c'è che dire, spero che ne esca vivo! - Commentò Céline, afferrando le chiavi arrugginite della stanza - Mandami su tua figlia in fretta... e con molta acqua, ho tanta polvere addosso da far concorrenza al Sahara.

Salì le scale senza mai voltarsi, sapeva bene che uno sguardo negli occhi della persona sbagliata sarebbe stato interpretato come un invito, ma non poteva nemmeno dimenticare che avrebbe avuto bisogno proprio di una di quelle losche facce per proseguire il suo viaggio lungo il corso del fiume Gambia.

La sua camera era soltanto un materasso appoggiato su un tavolaccio e chissà quante bestie immonde nascoste nelle lenzuola, eppure Céline vi si sdraiò guardando il soffitto, spettatrice inerte di una mosca prigioniera nella tela del ragno. - In questa terra si combatte per vivere o per sopravvivere, - sussurrò - eppure non è il posto peggiore dove sono stata.

India, Afganistan, Pakistan, e prima ancora Bosnia, Serbia, Albania... aveva passato più tempo nel fango, nel deserto o sulle montagne piuttosto che in un comodo albergo nel centro di Parigi dov'era cresciuta. Ma lei era nata per viaggiare, per vedere oltre quello che poteva apprendere sui libri. Giornalista professionista solo da qualche anno con una passione smodata per la fotografia, il suo curriculum non era bastato a farle avere un posto da inviato speciale, riservato a chi portava i pantaloni.

Un forma subdola di discriminazione, nessuno gliel'aveva mai posta come una regola non scritta ma accettata da tutti i Direttori di testata. - Una donna col microfono è una mina vagante su cui tutti sembrano prendere la mira, - soleva ripeterle uno dei suoi più cari amici - non puoi pretendere che ti mandino proprio in quei luoghi dove nascere femmina equivale ad un lutto in famiglia.

Lei non l'aveva ascoltato, o forse aveva cercato il peggio del mondo per dimostrare il proprio valore, e così si era spinta oltre ogni ragionevole prudenza, riuscendo ad arrivare dove i suoi colleghi maschi si erano arresi all'evidenza. A questo pensava quando fu distolta dal bussare alla porta. Le piccole nocche s'udirono appena nel caos che saliva dal porto: - Entra pure! - esclamò, sfilandosi la canottiera sudicia, e si trovò di fronte a quel piccolo muso imbronciato che la guardava con gli occhioni sgranati.

Dieci... undici anni, non di più, reggeva a stento le due brocche colme d'acqua, si guardò in giro e le posò di fretta sul tavolino. - Mia sorella ne porterà delle altre, - squittì - e mio padre dice che la tinozza sta sotto al letto... capovolgila bene prima di sedertici dentro!

Una carezza ed un sorriso, due monete infilate nella tasca del suo vestitino di una misura troppo larga per la sua età: - Una per te ed una per tua sorella. - la rassicurò - ora aspetta due secondi che mi tolgo questi stracci e poi mi versi un po' d'acqua sulla schiena.

- Sei molto bianca, - rispose la piccola, scrutandola attentamente - ma sei anche molto bella... magra e muscolosa quanto mio fratello.

- Crescerai anche tu e diventerai una bella signorina, assomiglierai a tua madre quando aveva la mia età.

- Mia madre ha una pancia enorme ed il seno che le casca sopra l'ombelico, -affermò - preferirei essere come te, ma solo un po' più abbronzata.

- Allora credo che tu debba emigrare in un altro paese, - continuò Céline - un posto dove imparare a vivere ed a mangiare con più saggezza e meno libertà.

- Non posso rinunciare alla mia libertà, questo mai. A scuola mi hanno insegnato che tutto il mio popolo ha lottato per essere libero.

L'acqua lavò via la polvere color ocra che si era impastata col sudore, prima la schiena e poi le spalle, accarezzandosi con una federa rubata chissà dove. Portava, ricamate su un angolo, le iniziali dell'hotel Kvala, e sembrava impossibile ritrovarla lì. La schiuma di una saponetta francese sembrava non gradire quell'acqua dura e salmastra, si seccava sulla mano e la pelle tornava immediatamente opaca quanto prima.

- Chiedi a tuo padre se ha dell'acqua distillata, quella che si mette nelle batterie, con questa roba non riuscirò mai a lavarmi i capelli!

Sparì di corsa per tornare subito dopo col fiato grosso: - Si, ce l'ha, ma ti costerà venti franchi... anticipati.

Affare fatto, anche se il dubbio di cosa ci fosse davvero in quel bidone non fu facile da accettare. Forse era semplicemente acqua piovana, ma aveva un odore di pesce fritto devastante. Nonostante tutto sembrava funzionare.

- Ora va a chiamare tua sorella, - le ordinò - servono le altre due brocche per sciacquarmi.

Ad occhi chiusi, il capo chinato verso il basso, raccolse i capelli in una lunga treccia spremendoli come un lenzuolo arrotolato. Nemmeno sentì quei passi pesanti che superarono la soglia della stanza, arrestandosi dietro la sua schiena, rialzò la testa e offrì la fronte all'acqua tiepida che arrivò come un fiume in piena.

- Avevo detto all'oste di darmi il tempo di sistemarmi un po' prima di avvertirti del mio arrivo, - esclamò - ma evidentemente la tua mancia è stata più allettante della mia!

- Ero impaziente di conoscere la più affascinante fotografa di Le Monde, - rispose lo sconosciuto - come hai fatto a scoprirmi?

- L'acqua scende troppo dall'alto... la ragazzina non avrebbe potuto alzare la brocca sino a quel punto.

- Osservazione acuta, dolcezza... posso continuare io a versarla o devo chiamare la ragazza?

Céline non rispose, allargò i capelli a ventaglio e gli fece cenno di andare avanti. Lentamente, senza fretta alcuna, lasciò che l'uomo terminasse quella doccia improvvisata, poi si alzò dal mastello in cui era inginocchiata e lo pregò di voltarsi. - Posso avere la brocca per favore? - sussurrò, mostrandosi nuda ai suoi occhi curiosi.

- Sono qui per questo, - rispose lui, obbedendo al suo invito - c'è forse qualcosa d'altro che io possa fare per farti felice?

Il suo sorriso un po' ebete si scontrò con lo smalto chiazzato della brocca. Il colpo arrivò senza preavviso come la reazione di Céline che non gli diede il tempo di reagire: - Mi avevano messa in guardia verso di te, caro signor Mokambo, - rispose - ma credevo che fossi più furbo, più intelligente... più preparato, ed invece sei un verme come tanti altri uomini, pronti ad infilarsi nella stanza di una donna per sbirciare le sue nudità mentre si cambia!

- Nel tuo caso ne è valsa la pena, bellezza ... - sogghignò, sfregandosi la guancia per la botta - lo spettacolo è certamente tra i migliori!

- ...e bellezza lo dici a tua sorella, - continuò Céline, rovesciandogli addosso l'intero mastello di acqua sudicia - perché la prossima volta non ti andrà tanto bene come questa.

- Allora ci sarà anche una prossima volta? - sorrise compiaciuto - Interessante opzione, considerato che dovremo passare diverse notti insieme!

- E' vero, potresti addormentarti macho e risvegliarti eunuco!

Davanti alla porta spalancata della stanza si era formato un pubblico divertito, e a poco servì investirli di improperi perché ormai la parte più gustosa della scena era giunta al suo epilogo.

Quando Céline scese nella locanda, non c'erano occhi che per lei. Gli stessi occhi ingordi che avevano perlustrato ogni centimetro della sua pelle con quella cupidigia addosso da non poter reprimere, lei se ne accorse, ma andò dritta al tavolo di Ector Mokambo senza mai voltarsi. - Sei uno stronzo, - esordì - e adesso non sarà facile uscire da qui senza farci notare.

- Ti avevano notata tutti ancora prima che entrassi nella locanda, ero nel bagno quando quei due seduti accanto al bar ti stavano preparando una bella accoglienza.

- Ci sono abituata, ho passato metà della mia vita in mezzo ai soldati ubriachi su un campo di battaglia.

- Questi non sono soldati e non si accontentano di tirarti in un angolo per giocare con te un paio d'ore... ti caricano su uno di quei barconi là fuori e, dopo averti divorata, ti vendono al miglior offerente.

- Ma che ne sai tu di cosa succede altrove, - reagì Céline - ho visto cose nella ex Iugoslavia che nemmeno i giornali hanno avuto il coraggio di raccontare!

- Se ben mi ricordo, - continuò Ector - in quell'occasione pubblicarono le tue foto col nome di qualcun altro.

- Ricordi male, ho venduto quelle foto per poter tornare a casa!

- Insomma una resa, non me la sarei mai aspettata da una come te.

- Non ero lì in forma ufficiale, non ero supportata dal mio giornale che aveva preferito affidare l'incarico a Brian Carnell. Lui era l'unico che poteva inviare via satellite le immagini digitali... e non si era mai mosso dalla sua comoda postazione in albergo. Venne da me dopo che gli Americani mi riportarono nella zona protetta di Sarajevo, gli dissi che avevo salvato la flash memory della Canon, e mi offrì in cambio una discreta somma di denaro ed un pass per lasciare quell'orribile posto.

Mokambo l'ascoltava in silenzio, passandosi ripetutamente la mano sulla faccia, dove ormai il livido aveva preso dei contorni violacei. Intanto lei scrutava la sala cercando di capire da quale parte sarebbe arrivato il pericolo perché, ne era certa, non sarebbe finita così. Ector invece sciolse i lunghi capelli grigi, legati con due gemelli d'oro sulla nuca e appoggiò i due gioielli sulla tavola. Poi li fece ruotare attorno all'indice, infilato al centro del legaccio.

Viveva in Africa da vent'anni, e i primi trenta li aveva spesi nei bar di mezzo mondo. Portava i turisti nella zone più impervie del pianeta, diceva di essere una guida a tempo determinato perché, unico nel suo genere, si faceva pagare ad ore. Soleva ripetere che il tempo è l'unica costante che ha un prezzo troppo alto per essere svenduto, le agenzie turistiche internazionali non lo avevano mai amato, ma si affidavano a lui perché non aveva mai perso né deluso un solo cliente.

Le Monde l'aveva assoldato come guida e guardia del corpo perché accompagnasse Céline dal Professor Alkman, ma l'incarico sembrava essere un modo astuto per togliersi una scomoda giornalista dai piedi e nel contempo concederle qualcuna delle possibilità che le avevano sempre negato.

- Resta qui, - l'avvertì Ector - ed appena scoppia un casino esci per strada e corri verso la Moschea, entraci dentro ed aspetta che io ti raggiunga.

- E se non arrivi?

- In tal caso mettiti il cuore in pace, non ci sarà scampo neppure per te!

Si alzò con aria imbronciata, raggiunse il tavolo accanto alla porta del bagno e vi piantò il coltellaccio che teneva nella cintura. - Facciamo mille franchi per la ragazza, - gridò - ed altri cento per il suo bagaglio!

- Non puoi vendere qualcosa che non è tuo! - gli rispose Ebrima, alzandosi in piedi.

- Già, ma se mi dai il denaro che ho chiesto... me ne vado e la lascio qui.

- Qui dentro ci sono almeno venti uomini pronti a prenderla, e tu invece sei da solo.

- E' vero, ma quanti di loro rischierebbero di farsi ammazzare per una donna.

- E' una bella donna, - continuò il nero – e abbiamo visto tutti quanto sia appetitosa, ma nessuno qui ha la cifra che chiedi.

- L'avete vista nuda grazie a me, - insistette Mokambo, rivolgendosi ad una platea sempre più interessata - se non avete i mille franchi, facciamo uno scambio merce.

- Che merce ti serve, - intervenne Abdou - se l'offerta è questa, allora io voglio trattare con te.

- Un passaggio fino a Banjul, nel grande estuario del Gambia. Una volta lì, tu prenderai la donna ed io i suoi bagagli.

- Io e Abdou viaggiamo insieme, - si affrettò ad aggiungere Ebrima - l'affare è chiuso, ma vogliamo un anticipo o non se ne fa nulla. Se è vero che la donna è tua, faccela prima toccare... qui, adesso!

Mokambo tornò verso Céline, si sedette al tavolo ed espose immediatamente il problema:- Ti ho appena venduta a quei due in cambio di un passaggio fino a Banjul, il pagamento avverrà soltanto all'arrivo, ma c'è una difficoltà.

- Ho sentito, non sono sorda. Posso pagare io quei mille franchi ed evitare questa stupida sceneggiata?

- Se solo ammetti di avere quella cifra, tagliano la gola ad entrambi e ci danno in pasto ai cani... e poi come hai fatto a capire, parli il Wolof?

- Solo qualche parola, ho sbirciato un vecchio dizionario durante il viaggio sin qui, ma mi è bastato per comprendere il senso del tuo discorso.

- L'unico modo che conosco per raggiungere il Professore è questo, - l'avvertì Mokambo - ed il problema sta nel fatto che vogliono un anticipo.

- E allora daglielo, cosa aspetti?

- Lo vogliono da te.

- Cosa esattamente?

- Ma che ne so, chi mai può sapere cosa frulla in testa a questi neri, vorranno palpeggiarti un po'... o cose simili.

- Andiamocene, - sbottò Céline - alza il culo e andiamo via da qui, mi sono stufata di te e di tutto questo maledetto casino, affitteremo uno scafo decente al porto e lo metteremo in conto al mio giornale.

- Forse non mi sono spiegato bene, non puoi risalire il Gambia come faresti con la Senna, qui il mondo gira in un altro modo... lo vuoi capire?

- Bene, allora inventati quello che vuoi ma lasciami fuori dalla trattativa, io sono una giornalista e non una merce di scambio.

- OK, allora alzati lentamente, fai finta di andare verso di loro, poi imbocca la porta e corri fino alla Moschea. Io cercherò di fermarli.

Così fece, ma appena imboccò l'uscita, scoppiò una baraonda indescrivibile. Percorse solo qualche decina di metri col fiato in gola, ma non riuscì ad abbandonarlo. Ritornò sui propri passi con la tensione che le bloccava le gambe, un tremore impossibile da acquietare, un terrore indescrivibile nel ventre.

Credeva di trovarlo morto, steso al tappeto come un vecchio pugile suonato, rimbambito da cinquant'anni di battaglie contro il mondo intero. Invece era lì, seduto sul bancone del bar con tutti i marinai intorno che gli offrivano da bere, battendo i piedi per terra per dimostrare la loro riconoscenza.
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